Il consenso informato è una manifestazione di volontà che viene accordata dal paziente, ad un qualsiasi trattamento sanitario. E’ chiaro che tale atto di volontà richiede il fatto che il medico (o la struttura sanitaria) debba adoperarsi al fine di informare compiutamente, il paziente che subirà il trattamento sanitario, affinchè lo stesso possa prestare un consapevole consenso.
L’obbligo di informare il paziente proviene dalla Costituzione che consacra l’autodeterminazione dell’individuo altresì negando – ai sensi dell’art. 32 II comma Cost. – sia la possibilità di effettuare trattamenti sanitari a prescindere della volontà del paziente sia l’esistenza di un dovere giuridico di curarsi o di un dovere alla salute.
A proposito del valore costituzionale del consenso informato, una sentenza del Tribunale di Genova 10 gennaio 2006, indica l’autodeterminazione individuale e la dignità umana quali beni preminentemente suscettibili d’offesa in caso di mancata informazione e/o consenso: “visto che senza informazione adeguata e rispettosa del paziente e, dunque, anche dei suoi limiti culturali e delle sue umanissime paure di fronte all’atto medico, questi non è più persona, ma oggetto di esperimento o di un’attività professionale che trascura il fattore umano su cui interviene, dequalificando il paziente da persona a cosa”. Questa sentenza riguarda un caso di intervento alla mano che aveva prodotto un’invalidità permanente del 15%. Ebbene, dopo aver escluso una colpa professionale per inadeguata diagnosi, scorretta scelta terapeutica o negligente esecuzione dell’intervento, viene in rilievo la mancata informazione in ordine alle possibili conseguenze dell’operazione e alle conseguenti, eventuali (ma gravi) ripercussioni sull’attività lavorativa della paziente.
Perchè costituisca la veritiera espressione dell’autodeterminazione e della scelta del singolo, il consenso deve essere preceduto da un’idonea informazione che sia soprattutto intellegibile e “leale”. A tal proposito, il primo comma dell’art. 33 (informazione al cittadino) del nuovo codice deontologico dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri del 16 dicembre 2006 (Capo IV, Informazione e consenso) contiene importanti indicazioni: “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta”. A fronte di quanto sopra, viene in rilievo l’importanza e il valore dell’obbligo di informazione, fino a qualche anno fa ritenuto quasi superfluo. Anche la giurisprudenza ha avallato tale assunto infatti la sentenza in materia Cass. 14 marzo 2006 n. 5444 ha statuito: “la responsabilità del sanitario per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dala tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre, ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell’esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso (…). La correttezza o meno del trattamento, infatti, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni (…)”. A tal proposito, è evidente come l’informazione non debba essere una dotta lezione di scienza del medico al paziente, di norma incapace di comprenderla, bensì deve essere resa con linguaggio chiaro e comprensibile.
La responsabilità per mancata informazione è configurabile anche quando riguarda le carenze ospedaliere eventualmente riscontrabili nella struttura sanitaria in cui venga disposto il ricovero del paziente. Così ha statuito la Cassazione con sent. n. 6318 del 16 maggio 2000: “in tema di responsabilità del primario ospedaliero per i danni derivati al neonato da difettosa assistenza nelle varie fasi del parto, se è vero che costui non può essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si verifichi in sua assenza nel reparto affidato alla sua responsabilità (…), tuttavia (…) la contingente mancanza di un’apparecchiatura necessaria, per quanto non imputabile al primario, non lo esime dal dovere di adottare, o controllare che siano adottati, i possibili accorgimenti sostitutivi, e di informare la paziente del maggior rischio connesso ad un parto che si svolga senza l’ausilio di detto strumento, e ciò anche in assenza, nella legislazione nazionale, di uno standard di riferimento degli strumenti di cui una struttura sanitaria pubblica deve necessariamente disporre”. Pertanto il professionista che sia a conoscenza del rischio che grava sul paziente a causa del deficit organizzativo o strumentale, ovvero in ragione della mancanza di personale con una specializzazione adeguata alla delicatezza del caso di specie, ha il dovere di informarne l’utente, nonché di indicargli una struttura alternativa ove il pericolo di specie, non ricorra. Nel caso di violazione del consenso informato, la responsabilità civile del medico è su tre fronti: il danno morale, in caso di reato (omicidio colposo, lesioni ecc.); il danno non patrimoniale da lesione di diritti costituzionalmente tutelati, quali, la libertà di autodeterminazione, la libertà religiosa e di manifestazione del proprio pensiero; il danno biologico, quale lesione del bene salute e conseguenza di qualsiasi attentato alla sfera individuale d’integrità psicofisica, a prescindere dalla natura delle conseguenze del trattamento sanitario.